Identità e funzione dell'Archivio Stampa

 

Riproponiamo l'articolo di Franco Cambi apparso su "Studi sulla Formazione", 2004, n. 2 a. VII, con il titolo  L’Archivio della Pedagogia Italiana del Novecento di Firenze: identità e funzione


 

 

 



1. Com'è nato l'Archivio

 

L’Archivio della Pedagogia Italiana del Novecento nasce come una «costola» fiorentina della Fondazione Nazionale «Vito Fazio-Allmayer» di Palermo, ubicata in quella che era la casa di Bruna Fazio-Allmayer, posta in una delle zone più belle di Firenze: ai piedi della collina di S. Domenico, che conduce a Fiesole. Lì i coniugi Fazio hanno vissuto nelle loro «trasferte» fiorentine ed è una casa che del loro «vissuto» porta ancora le tracce (dagli acquerelli di Fazio – ora trasferiti a Palermo – agli interessi geografici e turistici della coppia, di cui sono testimoni riviste e volumi). In quelle stanze ha preso corpo l’Archivio scandendo uno spazio pubblico del villino (separato da uno privato) da adibire a deposito delle carte dei pedagogisti donatori e ad attività di consultazione e di studio. Tutto questo per generosa iniziativa di Fanny Giambalvo, attuale presidente della Fondazione, che ha accolto l’iniziativa e l’ha sostenuta con pieno entusiasmo e sotto ogni aspetto.
L’idea dell’Archivio ha preso sostanza, attraverso le donazioni, in un corso di tempo non breve (come accade in questi casi) e con qualche difficoltà, ma formalmente l’iniziativa è ormai in atto e sta prendendo sempre più forma, appunto, come Archivio, ma – per quanto possibile – anche come un Centro di studi, presso il quale si attueranno Seminari e Incontri tra studiosi con iniziative di vario genere e in diverse occasioni. A cominciare dall’inaugurazione dell’Archivio che avverrà ufficialmente a maggio 2005, con un convegno nazionale dedicato a riflettere sul fare storia della pedagogia.
Sarebbe opportuno che tali iniziative di studio, che dovranno forse ripetersi a cicli fissi, potessero trovare sbocco in una collana di studi che, affiancando l’Archivio, ne ricordasse la funzione: non solo di giacimento di carte di pedagogisti ma anche di Centro di studio, di promotore di incontri di riflessione, di scambio di prospettive, di messa a fuoco di nuovi metodi, e temi e problemi, su un terreno in trasformazione come quello della storia della pedagogia, che si fa sì, e sempre più, storia dell’educazione, ma che risulta poco delineata nelle sue frontiere interne, poco attenta alla discussione sui propri metodi, poco sensibile a delineare i modelli che agiscono nel suo settore, a cominciare da quello «sociale», ma per risalire anche a quello teorico (o filosofico-scientifico-ideologico) più tradizionale, il quale – però – continua a pesare, e molto, e in molte forme, nell’azione e nella progettazione educativa. Si tratta di un impegno complesso da parte dell’Archivio: di essere giacimento di documenti, centro di studi, promotore editoriale. Speriamo che possa eseguire à part entière il proprio programma, supportando così in modo efficace (critico e filologico) quella storia della pedagogia che rischia, e sempre più, di frantumarsi in settori specialistici, dimenticando il coordinamento riflessivo che pur deve accompagnarla e illuminarla.

 

 

 


 

2. Il giacimento documentario


L’Archivio ha raccolto (e continuerà a raccogliere) le «carte private» dei pedagogisti italiani, che sono costituite da prime stesure delle opere, appunti preparatori e di lavoro, corsi universitari, testi di conferenze e altro ancora, insieme agli eventuali carteggi e alla documentazione di lavoro per la stesura dei vari volumi o per l’avvio di nuove ricerche. L’obiettivo primario è, più che reperire inediti, documentare un metodo di lavoro, un quadro delle proprie indagini, un itinerario di ricerca nel suo costituirsi. Quanto ai carteggi sono l’altro focus di questo tipo di documentazione, che deve rimandarci anche i rapporti presenti tra le figure-chiave di un’area disciplinare, il contesto in cui esse hanno operato, i problemi intorno ai quali hanno discusso, etc. Proprio dai carteggi potrà risultare la complessa trama che sta dietro il lavoro intellettuale, l’habitat storico, culturale e politico in cui si colloca. È vero, i carteggi sono la parte più «gelosa» delle carte private di ogni intellettuale, poiché lì si confessa, parla di sé e degli altri, esprime liberi giudizi, etc. Per questo vengono ceduti con parsimonia e con qualche sospetto. Ma va ricordato che per l’analisi storica sono e saranno decisivi, come fonte primaria per fissare atmosfere, rapporti, giudizi-d’epoca, etc. È auspicabile che tali ritrosie cadano davanti alla, diciamo così, «responsabilità storica». Tra l’altro tutto può esser donato con vincoli temporali che possono arrivare anche a permettere l’uso del materiale solo dopo molti decenni, con clausole sottoscrivibili nell’atto stesso di donazione.
Il bacino documentario che l’Archivio già possiede è imponente e significativo. Tutte le carte, finora ritrovate nel suo studio pescarese, di Raffaele Laporta sono presenti, e nella varietà della loro tipologia. Ci sono le carte (molte, anche se non tutte) di Lamberto Borghi, quelle di Mario Alighiero Manacorda, quelle (in parte) di Mauro Laeng, quelle (molte e significative, donate dal figlio) di Giovanni Maria Bertin. Poi la ricca documentazione donata da Bruno Bellerate, quella di Egle Becchi, di Giacomo Cives, quella di Vittorio Telmon, quella di Nando Filograsso, quella di Demiro Marchi, di Domenico Izzo, di Mario Valeri. E ancora la densa documentazione di Remo Fornaca che è stato il primo (entusiasta) donatore. Sono state promesse, dai familiari, le carte di Angelo Broccoli e di Riccardo Massa, in originale e in fotocopia. Sono in contatto, per l’eventuale donazione, anche Visalberghi, Manno, Granese, Pescioli e molti altri pedagogisti. A suo tempo fu sollecitato anche Giuseppe Flores d’Arcais, che ha deciso altrimenti, però. Fu interpellata anche Maria Teresa Gentile, ma con risultati negativi. Contatti sono stati presi anche con i pedagogisti della «penultima generazione», da Eliana Frauenfelder a Franco Frabboni, etc. L’obiettivo è quello di offrire un patrimonio di testi che permettano di entrare più direttamente nel cantiere intellettuale dei pedagogisti, nel loro metodo di lavoro, nel quadro  problematico delle indagini da loro svolte, per consegnarci una visione più diretta e più autentica di questo lavoro intellettuale (dei pedagogisti). Del loro lavoro soprattutto teorico.

 


 

3 Per la storia delle idee


L’Archivio, allora, si colloca, con le sue carte e con le piste di ricerca che può offrire con esse, su quel fronte della storia delle idee pedagogiche, delle teorie e delle strategie educative, contrassegnato da un puro (o più puro) lavoro intellettuale, che oggi si trova, ad un tempo, in profonda trasformazione e in posizione più marginale rispetto al passato. Se, tradizionalmente, la storia della pedagogia è stata storia solo delle idee pedagogiche, accorpata com’era alla storia della filosofia, e non solo nell’idealismo (anche il positivismo la esponeva in questi termini, seppure con qualche attenzione maggiore al concreto operativo soprattutto scolastico – si pensi, in Italia, a De Dominicis), oggi tende a trasformarsi in storia dell’educazione, ponendo al centro il ruolo sociale, istituzionale della pedagogia e delle sue forme operative, i rapporti educativi vissuti, così legati a tradizioni, epoche, costumi (educativi e non), le molteplici forme sociali dell’educare che vanno dalla famiglia, e dal rapporto genitori/figli, fino alle frontiere (in età adulta) del lavoro, dei riti di socializzazione, dell’immaginario. In questo contesto innovativo le teorie restano più in ombra: vanno sullo sfondo e perdono ogni centralità; sono un supporto, ma non più il focus dall’agire educativo storicamente inteso.
Il ridimensionamento delle teorie è, in sé, positivo: ci permette di accedere a un modello del fare-pedagogia più vasto, articolato, complesso, problematico.
E più storico in senso stretto: più storico-sociale. Ma anche le teorie entrano storicamente in gioco, operano nelle/sulle pratiche educative, le esaltano e le trasformano, le orientano, le condizionano, le prefigurano, etc. Allora alle teorie va restituito il loro ruolo, solo che vanno ora più contestualizzate e più articolate al proprio interno. Più contestualizzate socialmente e sul terreno delle educazioni, dei costumi educativi, etc., mostrando anche le loro origini sociali da un lato e le loro ricadute (ancora sociali) dall’altro. Più articolate su molte frontiere non riducibili alla sola filosofia, che, invece, tradizionalmente ha «diretto» il pedagogico (e continua, in parte, a farlo), ma ormai e sempre più deve condividere il terreno della teorizzazione pedagogica/educativa con le scienze e con le ideologie, che operano nello stesso modo delle filosofie: orientano l’agire, gli danno fondamenti e obiettivi, ne fissano i fini e i mezzi, lo legano a universi forti di teorizzazione e, pertanto, lo orientano con decisione. E sempre più: con la crescita – esponenziale – delle scienze umane le teorie scientifiche hanno pesato e pesano e peseranno sempre di più sulla teorizzazione educativa. La loro analisi delle culture, delle società, dalla psiche umana offrono alla pedagogia dei paradigmi fermi e oggettivi ai quali ispirarsi e legarsi, intrecciando la sua storia con le storie di quelle diverse scienze. Ciò accade anche per le ideologie: che sempre più regolano, o tendono a farlo, l’educativo, assumendolo come proprio-spazio-d’azione, in cui i principi e i modelli dell’ideologia in oggetto si applicano, si diffondono, si socializzano, e si fanno così vincolanti.
Oggi è necessario dedicarsi a uno studio delle idee pedagogiche a tutto campo, frequentando tutte queste frontiere, rivendicando alle teorie il loro ruolo (di orientamento e di stimolo, insieme), riconoscendo lo spazio che hanno occupato sì nel dibattito intellettuale, ma anche nella società, orientando mentalità, divenendo atteggiamenti diffusi (si pensi al positivismo, per un verso, al socialismo, per un altro), facendosi pratiche, appunto. Ma è necessario anche ritornare alle teorie, riconoscere ad esse il ruolo (storico) che esercitano, e studiarne momenti e aspetti, forme e casi. Nella ricerca italiana tale frontiera di studi è, oggi, piuttosto debole. Poco si frequenta il rapporto tra pedagogia e scienze (dall’evoluzionismo al neo-biologismo contemporaneo; dal rapporto pedagogia/psicoanalisi a quello con la sociologia critica; dal nesso tra pedagogia e antropologia negli stati coloniali e nell’età dell’imperialismo; etc.), mancano studi organici un po’ su tutti questi fronti (e su molti altri). Ma anche il rapporto pedagogia/ideologia risulta poco innovativo e creativo, ancora ispirato a quella «critica dell’ideologia» di impronta marxista e non orientato a cogliere la funzione produttiva, costruttiva dell’ideologia e la sua presenza polimorfa in ogni epoca storica (che si mostra non appena si infrange l’identità tra l’ideologico e l’economico-politico, risolta in modo troppo diretto e troppo riduttivo). Anche qui il lavoro da fare è molto. Sul terreno religioso, su quello politico, su quello culturale.

 

 


 

4. Le frontiere attuali della storia dell’educazione


Proprio l’uso delle carte private dei pedagogisti (accademici) può inoltrarci su questo percorso di rinnovamento e ripensamento delle idee pedagogiche. Può aiutarci a contestualizzare le teorie rispetto ai momenti storici, ai modelli culturali, alle congiunture ideologiche e ai loro schieramenti. Ma non soltanto. Può permetterci una lettura «totale» (o più totale) dello «spessore» delle teorie, andando oltre la loro superficie e riconoscendone le ragioni di adesione più profonde (più teoriche sì, ma anche più personali), fissandone le articolazioni (temporali e tematiche a contatto degli inediti e dei percorsi di ricerca, consegnati a vari appunti, abbozzi, etc.), delineando il processo «interiore» di adesione, di distacco, di riformulazione delle teorie. Attraverso le carte private le teorie entrano in contesti più dinamici, si colorano di vissuto, perdono la loro astrattezza puramente ideale: si fanno modelli partecipati e più criticamente partecipati. Per questo proprio le carte più private degli intellettuali-pedagogisti (come avviene per ogni intellettuale) divengono significative per seguire questo processo e riconoscere anche nel suo còté più drammatico il lavoro della teorizzazione; e più drammatico perché più intimo, più personale. Da qui – ripetiamo – l’importanza dei carteggi, che proprio su questa frontiera di «ripensamento» si attestano.
Un altro aspetto, poi, risulta centrale nell’analisi dei processi di teorizzazione che queste carte private ci offrono, connesso alla storia dei pedagogisti come intellettuali, e intellettuali di una «specie particolare», obbligati a pensare – insieme – la teoria e la sua applicazione (sociale, istituzionale, politica e individuale) poiché intellettuali-mediatori di cultura, che portano la cultura nella società e leggono la società nel suo bisogno di cultura. L’intellettuale pedagogista sta sempre tra cultura e società (e viceversa) e vi sta con una posizione emancipativa che riguarda sia i soggetti sia la vita collettiva nel suo complesso (o in qualche sua parte). Da qui la specificità del pedagogista come intellettuale, che è intellettuale di sintesi e di mediazione, un operatore teorico-pratico (ma qui pratico significa etico-politico e formativo in senso antropologico ad un tempo, e niente affatto un operatore pragmatico, un tecnico) e una figura in crescita nelle società attuali, così sature di processi educativi e così incardinate sulla formazione. Anche se spesso espropriata da altri intellettuali, di altra provenienza disciplinare. Perché? Per debolezza interna, per incapacità di stare-al-proscenio, per il rattrappimento della teorizzazione intervenuto in vari modi (dal travaso della pedagogia nelle scienze dell’educazione alla trascrizione operativo-tecnica della pedagogia). Recuperare lo “spettro” organico dell’intellettuale-pedagogista può essere una buona terapia o almeno un suo buon inizio. Le carte private dei pedagogisti, raccolte in Archivi, consultabili, analizzabili, ci riconducono verso quel modello alto di teoria pedagogica e possono svolgere una funzione di memento e di guida.

 

 

 


 

5 Il problema della documentazione: Archivi, Musei, Biblioteche e altro


L’Archivio pedagogico di Firenze sta, in realtà, in una rete di centri di documentazione (teorica). A Firenze è già presente l’Archivio Codignola. A Brescia l’Archivio Pedagogico collocato presso l’Università Cattolica. Qua e là si accenna alla costruzione di altri archivi con Fondazioni o lasciti. C’è poi il ruolo della BDP (ora INDIRE) che ha svolto e dovrà svolgere un compito di documentazione non solo scolastica (per l’innovazione educativa e per la qualità dell’innovazione stessa), bensì anche intellettuale, progettuale, organizzativa (che è un po’ l’altra faccia della teorizzazione). E su questo fronte anche gli IRRE possono svolgere una loro funzione di ricerca. Quello che non c’è è il raccordo tra questi vari soggetti. Vige la regola, piuttosto, della separazione. Manca qualcosa che li integri e li renda reciprocamente informati e interattivi. Manca un Bollettino di documentazione archivistica in pedagogia, manca un impegno a documentare la documentazione da parte di molti dei protagonisti del fare ricerca, teorica e teorico-pratica (= ricerca-azione). Mancano occasioni di riflessione in comune, com’è necessario per coordinare realtà-di-rete.
Va tuttavia riconosciuto che il problema della documentazione in pedagogia e della documentazione storica (e storico-teorica) in particolare si è acceso in tempi assai recenti. Aspetta di essere analiticamente dissodato. Reclama una lettura più sofisticata  dei suoi problemi. Anche la SIPED, anche il CIRSE su questo fronte hanno, in sostanza, taciuto. Qualcosa di più è stato fatto da alcune riviste (gli “Annali” bresciani, “Studi sulla formazione” di Firenze), ma c’è bisogno di un impegno più organico e comune per fare il punto sulla ricerca storico-educativa, che tenga conto delle sue molte e complesse frontiere interne e su tutte si confronti liberamente. Non ultima la frontiera dello studio delle idee pedagogiche che oggi ci appare meglio definita nella sua centralità, nella sua articolazione, nel suo stesso dinamismo metodologico e nel suo nuovo profilo anche organizzativo.
Gli Archivi, la loro “messa in rete”, la nascita di momenti e/o luoghi di confronto possono essere uno stimolo, un avvio, un memento anche per affrontare questo problema, così urgente e così aperto insieme, della ricerca storico-pedagogica attuale.

 

 

 

 


 

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