VITO FAZIO-ALLMAYER
Filosofo, nato a Palermo il 21 novembre 1885, morto a Pisa il 14 aprile 1958. Studiò all’università di Palermo, dove ebbe maestro Giovanni Gentile; insegnò quindi filosofia teoretica in quella Università e dal 1951 storia della filosofia all’università di Pisa.
Fu uno dei più fervidi esponenti dell’attualismo, e lavorò particolarmente intorno ai temi della libertà, della moralità e della storicità, teorizzando il nesso dialettico atto-fatto come azione morale o processo onde i soggetti empirici si risolvono nel farsi del soggetto trascendentale, in cui si unificano e per cui comunicano fra di loro. Questa esperienza morale è, per il F.-A., la stessa esperienza storica, per cui costruiamo un sistema di eventi, l’accaduto, che chiamiamo natura e che costituisce l’insieme delle condizioni degli eventi futuri. Il fatto accaduto non è causa determinante, ma condizione. In tal modo, secondo il F.-A., si evita sia il determinismo che l’arbitrio, essendo condizione quel passato che, risoluto e valutato, consente l’inserzione nostra nel futuro (Il profilo del filosofo, tratto dall’Enciclopedia Italiana).
Si veda sul bollettino della fondazione lo studio di Franco Cambi: “Un filosofo europeo”
BRUNA FAZIO-ALLMAYER
La Fondazione Nazionale “Vito Fazio-Allmayer” nasce nel 1975 per opera di Bruna Fazio-Allmayer, che lasciata la sua Toscana per insegnare in Sicilia Filosofia morale e Storia della Pedagogia, creò l’Istituzione per onorare la memoria del marito e per suscitare e incrementare nei giovani l’interesse per la filosofia.
Il Pino e il cipresso è il titolo dell’opera autobiografica di Bruna. I due alberi, svettanti sulla collina di Fiesole, con i loro rami intrecciati, sono il simbolo di un rapporto profondo tra due anime, tra due pensatori, il simbolo di quella originalità/comunicabilità dei soggetti che è la speranza.
La speranza, caposaldo della spiritualità cristiana che Bruna colse nelle meditazioni del marito, la speranza che è nel sentimento di comunione con gli uomini, con la natura, con Dio, è nella fiducia che la nostra vita sia non temporale, ma eterna, immortale e non peritura.
Nello stesso modo, Bruna avvertì nelle meditazioni di Vito la spinta a considerare il lavoro come dovere verso chi ci è caro, più che come mezzo di soddisfacimento di bisogni individuali. Una visione educativa che trascende lo spazio individuale per aprirsi al sociale, alla comunità umana cui l’individuo educatore appartiene, un sentiero che Vito Fazio-Allmayer tracciò e che Bruna ampliò con la sua prospettiva di educazione integrale in una scuola attiva.
Insegnare è non morire
Insegnare è non morire, è inserirsi in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: questa fu la certezza di Vito e di Bruna Fazio-Allmayer, e su tale certezza si basa una spinta pedagogica, di sapore socratico, se è giusto per loro che il maestro si senta uomo tra uomini, lui col suo vantaggio di essere più esperto, loro col loro vantaggio di essere più giovani, più aperti al nuovo.
L’educatore, nel suo farsi persona, risolvendo in sé le proprie esperienze e quelle della comunità umana, si fa storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni deve impegnarsi a riconoscerli nella loro singolarità, piuttosto che a livellarli o a pianificarli. Aprirsi agli altri è il contributo al vivere del tutto. Quando viene meno questo senso di solidarietà col tutto, si genera in noi il disagio dell’angoscia.
Dunque il senso della vita è quello della speranza e dell’amore: gli altri non sono contrapposti al proprio io, ma come necessario sbocco del proprio io. Ciascuno di noi si fa compossibile agli altri per quello che dà e per quello che riprende dagli altri, così il particolare si risolve nell’universale e l’universale nel particolare.
Per Vito Fazio-Allmayer la speranza è nella certezza che l’avvenire è nel presente. Sono perciò vecchi quegli insegnanti che, assorbiti nel passato, trovano spregevole tutto ciò che si produce nel presente, e scemi i giovani, ed erroneo ogni nuovo pensiero. La scuola è veramente vecchia se non ha la capacità di vedere nuovo e rinnovantesi il mondo. L’insegnante che si racchiude nelle memorie del passato e non pensa più ad un domani che debba farsi, egli confessa la malattia mortale che si chiama vecchiaia.